Nel 1818 Alessandro Manzoni vende la villa del Caleotto e quasi tutti i suoi possedimenti lecchesi ad un
ricco industriale della seta, Giuseppe Scola. A Lecco Manzoni non tornerà più. Pochi anni dopo, però, nella
sua villa di Brusuglio, vicino Milano, Alessandro Manzoni comincia a scrivere “i promessi sposi”
ambientandoli proprio a Lecco e nei dintorni, i paesi della sua infanzia e della sua giovinezza, i “più belli del mondo”, come scrive nell’introduzione “Fermo e Lucia”, la prima edizione dei promessi sposi, mai
pubblicata.
Sulla vendita di quella che non era una qualsiasi villa di villeggiatura ma la casa della famiglia Manzoni da
due secoli, sono state fatte, come per ogni altro avvenimento della vita dello scrittore, le più diverse
congetture: chi vi ha visto un rifiuto della figura paterna, infatti Manzoni vende il Caleotto, la casa del padre Pietro, per andare a vivere a Brusuglio, la casa della madre Giulia, e chi l’ha attribuita a gravi problemi economici dovuti alla cattiva amministrazione di un tendente disonesto nominato dal padre dello scrittore.
Egli si dichiarò sempre pentito di questa vendita, ma a Lecco non tornò mai più. Il celeberrimo inizio dei
Promessi sposi, “Quel ramo del lago di como…” nasce dai minuziosi ricordi visivi del paesaggio che questa
villa Manzoni vedeva: il Caleotto è il centro ideale del romanzo.
Dal padre Manzoni ereditò il Caleotto, un complesso inscindibile di villa padronale, giardino e fondo
agricolo “vitato e moronato”, come lo definiscono i documenti dell’epoca, cioè coltivato a viti, per la
produzione di vino, e a gelsi, per l’allevamento dei bachi da seta che di quelle foglie si nutrono. Vi erano
cioè rappresentate le due principali attività agricole del Lecchese a quell’epoca, attività che Manzoni
continuerà con incredibile passione anche a Brusuglio.
La proprietà aveva una grande cantina in cui conservare tutto il vino prodotto qui e nelle altre tenute dei
Manzoni: il più pregiato era quello della “Cà Brusada” di Deviscio che veniva anche venduto e che ai
Manzoni piaceva tanto da giustificare nell’atto di vendita una clausola con la quale gli Scola si impegnavano ad inviargliene, ogni anno, una botte. Di queste viti non ne resta traccia, bruciate dalla fillossera alla fine del secolo scorso, come tutte quelle della Brianza.
Il punto dove ci troviamo era quindi parte della tenuta Manzoni, così come l’area dove sorge la nostra
scuola, il Parini. Possiamo immaginare Manzoni che da ragazzo passeggiava tra le sue vigne e arrivava a
Pescarenico senza mai dover uscire dalla sua proprietà: una passeggiata che lo scrittore di sicuro era solito fare, visto che abbiamo dei documenti che attestano i rapporti della famiglia Manzoni con i frati della chiesa di Pescarenico.